lunedì 6 marzo 2017

Populismo, ovvero chi ha paura del lupo cattivo?



Parola ormai entrata nel linguaggio mediatico ma anche del comune cittadino, che la mutua dai mass media (i mezzi di comunicazione di massa che io continuo a preferire pronunciare come si legge, dal plurale del latino medium), quasi come fosse uno spauracchio da combattere con tutte le forze a disposizione.
Vorrei, nel mio piccolo, fare un minimo di chiarezza.

L’etimologia della parola “populismo” per chi non avesse già fatto una ricerca sul web è molto semplice: il populismo era un movimento politico ed intellettuale di ideali socialisti venutosi a creare nella Russia del secondo novecento che trae però origine dall’omonimo movimento di fine ottocento che idealizzava e mirava al miglioramento delle condizioni di vita della classe contadina. Aspettativa presumo del tutto legittima, considerata la realtà sociale che poteva esserci in quei luoghi alla fine dell’altro secolo.
La definizione di populista e l’idea di populismo qui in Italia comincia a farsi sentire in coincidenza dell’ingresso dei rappresentanti e appartenenti al movimento politico 5 Stelle, partito politico fondato a fine 2009 come sapete dal noto comico Beppe Grillo e l’imprenditore Gianroberto Casaleggio, in Parlamento.
A prescindere e rispettando le idee politiche di chiunque, ciò che intendo chiarire qui è che il termine come ogni altro termine che inizia a circolare con eccessiva frequenza su tutti i mezzi d’informazione, che siano essi di carta come i quotidiani o di carattere televisivo come i tg o programmi d’attualità o di tipo tecnologico come i siti internet a cui tutti accediamo ogni giorno, è stato nel suo significato originario trasfigurato completamente.
Se è vero che il cambiamento di solito genera nell’istinto umano sempre dei dubbi e paure, scatenati dalla scarsa o inesistente conoscenza del nuovo, nelle classi dirigenti politiche ma anche in quelle economiche, solitamente genera un istinto un po’ diverso: queste non hanno paura del nuovo perché non lo conoscono, ne hanno perché potrebbero perdere il loro potere, i loro privilegi, i vantaggi conquistatisi nel tempo. In una parola i diritti acquisiti, in che modo non ha importanza. Il populismo quindi a questo punto diventa il comportamento da contrastare di chiunque tenti, non importa più badate bene se a ragione o no, di modificare il sistema vigente.


C’è poi un altro risvolto a mio avviso non meno importante e da non sottovalutare: si cerca di assimilare ad un atteggiamento populista chi fa della demagogia e cioè a chi tende a condividere i malumori di una certa classe, magari quella popolare meno abbiente come succede ultimamente o anche di alcune minoranze, cercando di ottenerne il consenso a discapito di altri. La demagogia messa così e in senso generico è effettivamente da condannare e io non posso che essere d’accordo con chi lo fa.
Siamo abituati a sentire, e non solo negli ultimi tempi, i politici italiani accusarsi reciprocamente di demagogia e mi sembra ormai chiaro che lo facciano quando si sentono toccati su di un tema e non hanno modo di controbattere con argomenti veri; ma se fare demagogia, fare populismo come si dice, vuol dire mostrare le difficoltà serie e reali di alcuni che magari non sono tecnicamente delle minoranze ma persone come me e voi che a causa di molti fattori indipendenti dalla loro volontà non hanno più la possibilità di condurre una vita dignitosa, perché hanno perso il posto di lavoro o chissà cos’altro, vuol dire prenderne le parti allora quella non è più demagogia.
In altri paesi situazioni economiche simili a quella che si è creata anche in Italia negli ultimi anni hanno portato alla nascita di formazioni politiche o alla crescita enorme di già esistenti proprio perchè queste hanno dato voce ai bisogni di fasce di cittadini che si sono trovate indifese di fronte al dilagare di una crisi inarrestabile, ne è un esempio la Francia. Oppure la tanto millantata Brexit inglese, a seguito di un regolare e democratico referendum, tra l’altro voluto dalla parte politica al governo, che doveva secondo molti analisti segnare l’inizio del tracollo dell’economia inglese. Capitolo diverso e a parte che tratterò in futuro il caso dell’elezione del Presidente degli Stati Uniti D’America Donald Trump, sottesa comunque da sentimenti molto contrastati in una nazione che apparentemente non sembrava a rischio populista ma che evidentemente avverte anch’essa una necessità di cambiamenti forti, necessità faccio sempre notare venuta fuori dopo avvenimenti e situazioni a cui non si era preparati.


Tutto questo per affermare che io ritengo completamente sbagliata l’idea di far passare il populista, il populismo, come un pericolo assoluto. Di assoluto e certo non c’è quasi nulla.


Ringrazio ancora una volta chi avrà la pazienza di leggere queste mie parole in libertà, che scaturiscono come al solito dal desiderio che conservo di esprimere sempre e comunque le mie idee, fondamento democratico di ogni società che voglia definirsi tale.

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